TRE VECCHISSIME VITI
In giardino abbiamo tre vecchissime viti, una accanto all’altra. Le uniche rimaste di una pergola che, lo dimostrano i ferri ancora infissi nel muro, una volta assecondavano il perimetro del cortile.
Le ho sempre viste lì e sono letteralmente sopravvissute a tutto: ultraventennale abbandono, fuoco, veleni, motoseghe, escavatori, cantieri, incendi, malattie, parassiti, siccità e il gelo del 1985. Mai potate, né accudite, né concimate. Su una, prima della guerra, avevano addirittura murato addosso un contrafforte di mattoni, me lei si è fatta spazio ugualmente.
Producevano pure un po’ d’uva, due rossa e una bianca. Quest’ultima da tavola. Buona.
In passato mi sono chiesto più volte perché io stesso non le avessi mai sacrificate durante i vari lavori in quello spazio aperto.
1896. lA GUERRA D'AFRICA, UNA SCIMMIETTA E LA PERGOLA
Poi ebbi un flash: rammentai l’aneddoto raccontato da una vecchia zia sul bisnonno manesco.
“Quando tornò dalla Guerra d’Africa – diceva – portò con sé una scimmietta da compagnia. La teneva legata a una catenella. Un giorno, però, la scimmia scappò, salì sulla pergola e, prima che la riacciuffassero, ruppe tutti i tralci. Così il bisnonno si tolse la cintola e la bussò bene bene”.
L’avevo sempre considerata una storiella da nulla, probabilmente arricchita dalla fantasia. Il riferimento alle viti però non poteva essere casuale. Allora mi si alza la nebbia: ma se nel 1896 la pergola era già lì, mica avrò in giardino viti a piede franco?
PAOLO STORCHI DEL CREA DI AREZZO
Nessuno dei vecchi di Monte Sante Marie rammentava nulla, se non che quella pergola c’era sempre stata e che, ai bei tempi, l’uva finiva assieme a quella dei vigneti della fattoria di famiglia.
Decisi allora di rivolgermi a Paolo Storchi, direttore del centro di Viticoltura e Enologia del Crea di Arezzo, per un sopralluogo.
Ovviamente non avevo nulla di affidabile in mano, tranne la storiella della zia e la vicenda, molto più interessante, del millenario borgo fortificato delle Crete Senesi, che da tanto tempo studiavo e cercavo di risollevare dall’oblio. Un oblio che includeva una porzione importante di ruralità antica.
Lui viene, prende un po’ di campioni e fa: “Vediamo”. Non mi parve rassicurante.
LUGLIENGA, CITROLELLE E PANFINONE
Il responso arrivò qualche settimana dopo e fu, invece, strabiliante. Almeno per me.
Si trattava di tre varietà, tutte rare e strane.
La meno strana era la Luglienga, uva bianca da tavola, precoce e usata anche per incroci da vino. La più strana era la Citronelle, rarissima uva rossa da vino di origine francese. La terza era il Panfinone, rara uva rossa da vino di cui in Italia si conoscevano pochi esemplari, forse d’origine ungherese-ucraina.
viti eroiche dai tralci lunghissimi DI PANFINONE E ZUCCACCIO
A questo punto, anziché placarsi la mia curiosità aumentò e le domande si moltiplicarono: perché vitigni così inusuali, fianco a fianco nel cortile di una casa padronale? Saranno i resti di una collezione? Fatta da chi e quando? Non mi risultavano antenati delle ultime due generazioni con passioni ampelografiche. E del resto la scarsa cura avuta della pergola negli ultimi settant’anni lo dimostrava. Quindi?
Seguono ordini draconiani di massima attenzione alle viti superstiti, perlustrazione palmo a palmo del borgo, dei dintorni e dei terreni aziendali ai margini di quelle che fino al 1965 erano vigne. Dalle macchie, dalla boscaglia e nelle prode spuntarono così alcune viti eroiche dai tralci lunghissimi, subito campionate.
Scatta allora la fase della ricerca sistematica: recupero di vecchie carte aziendali, mappe colturali antiche, foto aeree remote e delle memorie di contadini ultranovantenni per individuare dove potesse trovarsi qualche ulteriore ceppo superstite ceppo di Panfinone o altro. Il lavoro dà buoni frutti: lungo una siepe mista di rovi ecco viti di Panfinone a cui nessuno aveva mai dato peso. Da un burrone boscato spuntano, ancora maritate agli olivi abbattuti con loro, piante di Zuccaccio, vitigno del Valdarno di cui si erano perdute le tracce tra ‘800 e ‘900.
E MICROVIGNA SIA
Nel frattempo Paolo Storchi è riuscito a ricavare dai campioni alcune barbatelle. Me le porta. E io le pianto, con la giusta solennità, per ricostituire il pergolato perduto e per creare una microvigna familiare. Non tutto attecchisce, i caprioli ci mettono del loro, ma il cammino del Panfinone è (ri)cominciato.
Stefano e Daniela Tesi e il Panfinone in 100 CUSTODI PER 100 VITIGNI
La biodiversità viticola in italia
G.R.A.S.P.O.
FRUTTA DIMENTICATA
Nei frutteti abbandonati e inselvatichiti dei vecchi poderi della Tenuta sono state ritrovate piante di meli con alcuni frutti piccoli, tondeggianti, di colore rosso melagrana/rosa e screziato di giallo, forse varietà “Abbondanza”, che sarebbero state messe a dimora nei frutteti per favorire l’impollinazione.
Da ricordi personali e informazioni raccolte nei dintorni risulta che fino agli anni ’60 in zona fossero coltivate negli orti, ad uso domestico, diverse varietà di mele, alcune delle quali famose per il loro gusto e le piccole dimensioni.
Oltre alle mele abbiamo ritrovato e recuperato piante di pere ‘invernali’, dalla polpa molto dura ma dal gusto delicato, da cui ricaviamo una purea deliziosa con la sola aggiunta di limone e vaniglia.